Friday, June 10, 2011

Il museo della mafia da Salemi a Venezia

L'opera di Inzerillo è tra le poche apprezzate all'interno del discusso Padiglione Italia curato da Vittorio Sgarbi



PALERMO - Commentata, disprezzata, straparlata, l'ultima provocazione culturale di Vittorio Sgarbi, continua a echeggiare sulla stampa nazionale e internazionale. Il suo Padiglione Italia alla 54esima Biennale di Venezia, con il titolo «L’arte non è cosa nostra» e l’intento di destrutturare quel “Sistema Arte” governato da critici, curatori, collezionisti e pochi artisti “eletti”e patinati d’oro e diamanti, ha sollevato pesanti critiche tra i giornalisti di The Guardian, The New York Times e Le Monde: «assurdo insieme di scorie», «noiosamente provocatorio», «minimo storico mai raggiunto in una Biennale», e ancora «indegno e discutibile».

Eppure, tra le oltre 250 opere esposte, non proprio tutto è stato demolito da giudizi negativi. Incastonato come un budello carcinogeno nell’ultima Tesa dell’Arsenale, «Il Museo della Mafia», già realizzato per il comune di Salemi dall’artista palermitano Cesare Inzerillo per volere dello stesso Sgarbi, ha unito le opinioni di critici, giornalisti e visitatori. Il critico d’arte Gillo Dorfles, dall’alto dei suoi 101 anni, ha confidato a Vincenzo Trione del Corriere della Sera.it di essere rimasto colpito «dall’atmosfera tenebrosa e dolorosa» generata dal Museo, e persino uno dei più acerrimi nemici di Sgarbi, Achille Bonito Oliva, che ha criticato aspramente la selezione del Padiglione Italia paragonandola a un «karaoke» privo di responsabilità curatoriale, ha sottolineato che se c’è un solo elemento da salvare, questo è certamente il «Museo della Mafia».

Scenografo teatrale e cinematografico, a fianco dei registi siciliani Daniele Ciprì e Franco Maresco da oltre 10 anni, Cesare Inzerillo ha allestito un percorso espositivo per documentare la storia della mafia, dal 1860 a oggi, attraverso un labirinto sensoriale di immagini, suoni, luci, ombre e odori, capace di evocare suggestioni fortissime. Il percorso inizia con la Sala della Cronostoria, uno stretto corridoio, scuro e buio, nel quale le prime pagine dei quotidiani italiani ripercorrono i più importanti fatti di mafia nei suoi 150 anni di vita. Sullo sfondo, il rumore dei tasti di una “Olivetti 22”, che a tratti ricorda quello di una mitragliatrice, suggerisce giochi semantici tra il potere dell’informazione e gli attentati a scapito degli stessi giornalisti. Superata la Cronostoria, la Sala del Compianto, buia e inquietante, con il gruppo scultoreo realizzato dallo stesso Inzerillo come citazione delle mummie delle catacombe dei cappuccini di Palermo, è avvolta da un silenzio tanto assoluto da rimbombare in maniera quasi assordante.



Al piano superiore poi, numerate in maniera disordinata, si aprono 10 piccole cabine “elettorali”, chiave di volta del sistema mafioso «perché è al loro interno che ogni cittadino partecipa alle sorti politiche del Paese». Ogni cabina, attraverso un supporto audio e video, affronta uno dei principali temi legati alla mafia: ci sono le due cabine del Colloquio, separate da una parete di vetro, per suggerire l’idea degli incontri nelle carceri; e poi Il Pizzo, La Violenza, La Sanità, L’Acqua, Il Potere, L’Informazione, La Religione e La Famiglia, ognuna con le proprie didascalie informative, con un repertorio fatto d’immagini, di testimonianze, di ricordi. Ritornando al piano inferiore, si giunge infine alla Sala dell’Abuso Edilizio, con i video che raffigurano Palermo prima e dopo il “Il Sacco” in dialogo, e la scultura che dà nome alla sala stessa, e che, per via della sua forza comunicativa, ha lasciato a bocca aperta persino l’imperturbabile Oliviero Toscani.

Un’opera d’arte/museo, insomma, concepita come struttura itinerante, compiuta ed emozionante che, da sola, vale certamente la pena di una visita al discusso Padiglione curato da Sgarbi. Tra le altre opere esposte all’interno del “Museo della Mafia” alla Biennale di Venezia 2011 ci sono le opere del pentito Gaspare Mutolo, del pittore fiammingo Patrick Ysebaert, di Mimmo Centonze, Antonio Manfredi, Flavia Mantovan, Marilena Manzella, Francesco Pirella, Omar Ronda, Paolo Vegas e Giuseppe Veneziano che hanno raccontato la Mafia a modo loro.

Pubblicato su corriere.it

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