Thursday, November 13, 2008

Due Babà, due cafè e… “Due Sanpietrini”

Intervista a Baldo Diodato



Un ragazzino con la chioma candida, gli occhi trasparenti ed un caldo sorriso meridionale. Ecco come si presenta Baldo Diodato oggi, entusiasta ed appassionato come negli anni adolescenziali, ma con lo sguardo ricco di una saggezza che solo il tempo e l’esperienza possono regalare.

Baldo Diodato nasce a Napoli. Si forma artisticamente all’Accademia delle Belle Arti di Napoli e all’Accademia Albertina di Torino. A Napoli entra a far parte del “operativo 64” capeggiato da “Luca” insieme a Dentale, Carlini, Pattison, Rubino e Achille Bonito Oliva, teorico del gruppo; nel ‘66 la partenza per New York che, nata come semplice avventura, si trasformerà poi nell’esperienza più significativa della sua esistenza. A New York Baldo, o’ guagliò, si muove con disinvoltura per le vie di una città malleabile e spregiudicata, vitale ed accogliente che si appresta a diventare la Capitale Culturale del mondo. Sono gli anni della Pop Art, dell’Action Painting, dell’Arte Minimalista e Concettuale, dell’avvento della cultura di massa e della pubblicità, e Baldo entra a contatto con gli stessi Basquiat, Andy Warhol, Raushemberg, Lichtestein, Eric Fischle, John Torreano, Julien Shnabel ed altri. New York e la sua energia cinetica non possono che stuzzicare la creatività di artista e Baldo, nel suo studio/loft del Greenweech Village, progetta e crea di giorno, come un instancabile Stromboli, e la sera si diverte ad organizzare vernissage e degustazioni culinarie che profumano della sua cara vecchia Napulè. Nel ‘92, dopo quasi trent’anni di scorpacciate di quella Grande Mela, il ritorno in Italia.



Baldo Diodato, l’uomo, oggi a Roma, vive un nuovo capitolo della propria vita: il suo volto è sereno, rilassato, soddisfatto. Baldo Diodato, l’artista, continua a ricercare, sperimentare e creare senza sosta, forse, perchè no, attingendo ancora inventiva ed idee da quelle inesauribili riserve d’oltre oceano.

Lo incontriamo nel suo studio in Doria Panphili, nel cuore di Roma dove, tra babà, cafè e “Sampietrini”, ci racconta la sua ultima conquista creativa, ripercorrendo i sogni e le avventure che hanno disegnato la sua storia.

1. “Due Sanpietrini” e “Marco Aurelio” sono i sui ultimi successi espositivi. Calchi di pavimentazioni che risalgono alla Roma Papale (nel 1585 Papa Sisto V, nell’ambito di un’opera di rinnovamento urbanistico, fece pavimentare Piazza San Pietro con questi cubetti di selce, che dalla Basilica prendono il nome di Sanpietrini appunto), le sue opere racchiudono motivi minimalisti e concettuali, tracce di arte processuale ed happening; ci spieghi meglio di cosa si tratta questa sua nuova operazione artistica.

Nelle mie opere è possibile entrarci, viverle, uscirne. Tempo fa, a New York, guardando la gente, sempre in continuo movimento, ho provato la sensazione di assistere ad un vero e proprio spettacolo. Decisi così di farmi lasciare, inconsciamente e non, le loro impronte sulla tela bianca, le loro tracce, le loro immagini come "sculture viventi". Tornato a Roma, l'alluminio ha sostituito la tela dando vita a bassorilievi, iper-realisti e minimal, di strade e piazze romane.



2. Diceva Carlo Giulio Argan che “Esperienza estetica è quella che si fa attraverso i tre stadi dell’immaginazione: memoria, percezione, progetto (cioè passato, presente e futuro), e che si concreta ed esprime in un’operazione tecnica che produce oggetti economicamente privilegiati, le opere d’arte.” La sua ricerca sembra ricalcare nel dettaglio le parole dell’Argan. Storia, presente e futuro si sovrappongono nella sua opera. Lei cattura la pelle plurisecolare di Roma, con i suoi pori ingigantiti, le sue rughe, utilizzando delle lamine d’alluminio come fossero la pellicola di una polaroid tridimensionale, vi imprime il passo pesante e prepotente del contemporaneo ed infine lo appende alla parete di una galleria, conferendogli l’aurea luce di opera d’arte, dono per l’uomo di domani. E’ questo il frutto di un’idea che l’ha colpita come un fulmine a ciel sereno o è piuttosto il risultato di un più lungo percorso di ricerca?

Le illuminazioni, anche quando avvengono a ciel sereno, hanno radici profonde. I miei calchi su sanpietrini romani sono figli dei frottages su tela che facevo a New York, alla fine degli anni '60.

3. Il sampietrino, cosa significa per lei questo cubetto di selce e quando ha deciso di renderlo protagonista di una sua operazione artistica?

Del sampietrino mi interessa la forma quadrata molto più grande delle tessere per il mosaico: come nei mosaici questi cubetti s'incastrano l'uno nell'altro raccontando delle storie antiche, presenti e future. Dal 2000 ho effettuato dei calchi su laminati sottili di alluminio, per portarli poi nelle case come pavimenti, soffitti ed in gallerie di varie città.



4. Lei che ha vissuto in prima persona alcuni tra i momenti più significativi della Storia dell’Arte nel passaggio tra due millenni, come vede l’Arte contemporanea oggi e cosa pensa del modo in cui questa cerchi di farsi ascoltare?

L'arte contemporanea significa trovare il metodo per cambiare. Così è nata la civilizzazione, sin dall'invenzione della ruota; è desiderio di cambiamento. L'arte contemporanea oggi è una ricostruzione di particolari della natura, in cambio di soldi: arte= money. Nel '400 c'erano le botteghe, in seguito le gallerie e le fiere, oggi le aste.

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