Monday, January 5, 2009

La Semenza delle Tradizioni


Una tavola imbandita di tutto punto, profumi della più tipica tradizione siciliana, pani cunzatu, pasta con le sarde, milinciane ammuttunate, buccellatini fatti in casa, cannoli con la ricotta, un centro tavola in maiolica raffigurante limoni ed arance della Conca d’Oro e tanto di Peppina e Carmelo, Giuseppe, Concetta, Salvatore e Rosa, Maria, Angela e Leonardo, Francesco, Gioacchino, Agata, tutti lì, attorno al tavolo, ad accogliermi come soltanto un siciliano DOC saprebbe fare. E dove collocare questo romantico quadretto? Ma negli Stati Uniti “ovviamente”!
In un viaggio a San Francisco con un amico californiano conosciuto a New York, durante i festeggiamenti di un battesimo a casa di amici di famiglia, la sua chiaramente, mi sono imbattuta in una situazione surreale, al limite tra il faceto ed il paradossale. Nel presentarmi ai padroni di casa è infatti bastato che pronunciassi appena la mia provenienza siciliana per ritrovami attorniata, in men che non si dica, da un branco di siciliani purosangue: tre intere generazioni di Baharioti (denominazione siciliana degli abitanti di Bagheria, in provincia di Palermo), più di 20 in tutto tra nonni, figli e nipoti, stavano lì, attorno a me, quasi fossi io una gocciolina di granita di limone caduta per terra, e loro, un branco di formichine pronte ad assalirmi. E per dimostrarmi la gioia di quel fortuito incontro, i miei compaesani, non la smettevano di abbracciarmi e riempirmi di domande, evidentemente orgogliosi di poter esibire quell’italiano o meglio dialetto siculo-americano quasi incomprensibile, nonché di farmi gustare le prelibate pietanze della cucina siciliana da loro preparate in occasione del battesimo.

I loro volti, le movenze, i nomi e i racconti, così impeccabilmente siciliani, sembravano essere stati ripescati da un quadretto di vita di un paesino della Sicilia degli anni ’50, quasi fossero rimasti ibernati per tutto questo tempo, congelati dai venti freddi dell’emigrazione transoceanica e rifioriti poi tra le tiepide colline californiane. E non solo, ma anche tutte quelle tradizioni culinarie, mentalità tipiche ed abitudini, oggi in allarmante processo di estinzione nella stessa madre Trinacria intaccate come sono dall’erosione del progresso e dell’evoluzione, avevano evidentemente attraversato l’oceano, quasi un secolo prima, insieme alla gente a cui appartenevano, avevano varcato confini affettivi, temporali e culturali ed erano approdati nel Nuovo Mondo dove, nutriti dalla nostalgia e dall’amore per la lontana terra madre, erano stati poi fedelmente tramandati di generazione in generazione.
Quella che sembra qui una sorta di parodia dell’emigrato italiano negli Stati Uniti è in realtà storia di vita vissuta per milioni di persone. Sono 16 milioni, quasi il 6 % dell’intera popolazione statunitense, i dichiarati italo-americani che risiedono oggi negli Stati Uniti, con un’altissima concentrazione nelle aree della East Cost, a New York, a Boston, a Chicago, a Baltimora, a Filadelfia e nelle San Francisco, San Diego e Los Angeles della West Coast. Sono loro i figli, i nipoti e i pronipoti di quella Grande Migrazione italiana negli Stati Uniti del primo quarto del XX sec e delle successive ondate migratorie degli anni ’50 e ’60 del Novecento, di cui i siciliani tra l’altro rappresentarono una altissima percentuale.

I primi emigranti erano principalmente contadini ed operai, gente umile, estenuata dalle guerre e dalla povertà ed attratta, come gazze, dal luccichio di un futuro migliore, in una terra, quella “Nuova”, dove si diceva piovesse denaro dal cielo e dove verdure e bestiame sembrava avessero dimensioni soprannaturali. Non sempre purtroppo le aspettative rispecchiavano la realtà dei fatti e spesso le difficoltà di una lingua incomprensibile, la denigrazione, la sottomissione e l’isolamento in un paese estraneo e sconosciuto spingevano al rimpatrio, ma altre volte il vecchio proverbio siciliano “Cu nesci arrinnesci” (“chi parte trova la fortuna”) sembrava avesse la meglio ed ecco che gli Stati Uniti rappresentavano la fruttuosa svolta, a volte onesta a volte meno, per tanta, tantissima gente.
Le ondate migratorie successive verso varie destinazioni in tutto il mondo, anche se meno colossali di quella prima Grande Migrazione del Novecento diretta agli Stati Uniti, rappresentavano sempre di più una soluzione, più o meno definitiva, alla frustrazione e all’insoddisfazione in una terra tanto promettente quanto problematica e riluttante al progresso come la Sicilia e, incredibile ma vero, quegli stessi siciliani tanto pigri, fannulloni, accidiosi e pantofolai tra le mura di casa, non appena varcato il lembo di costa che li separava dal resto del mondo, si trasformavano in imprenditori intraprendenti e volenterosi, propositivi ed irrimediabilmente solari, creativi e vincenti.
“Chissi ca partunu, sunnu comu la semenza ca si chianta nu terrenu cchiù fertili…chissi sunnu u futuro nostro” si sente nel film di Emanuele Crialese, “Nuovo Mondo” (Leone d'Argento Rivelazione 2006) che racconta appunto, con estrema intensità, l’avventura storica della Grande Migrazione italiana negli Stati Uniti, attraverso le vicissitudini di una famiglia dell’entroterra siciliano.
E come dar torto ad una simile premonizione? Tanti furono, infatti, i siciliani di prima, seconda o anche terza generazione che non solo ebbero successo nel Nuovo Mondo, ma che addirittura lasciarono un segno nella Storia. E come dar torto ad una simile premonizione? Tanti furono, infatti, i siciliani di prima, seconda o anche terza generazione che non solo ebbero successo nel Nuovo Mondo, ma che addirittura lasciarono un segno nella Storia. Chi non conosce ad esempio Frank Sinatra o Frankie Laine (orig. di Monreale) punte di diamante della storia della spettacolo e ancora maestri del Cinema come Frank Capra (nato a Bisaquino) o Martin Scorsese (orig. di Polizzi Generosa), e poi Al Pacino (di orig. Corleonesi) e Sylvester Stallone (orig. di Castellamare del Golfo), John Travolta e John Turturro (orig. di Aragona) o ancora l’attore palermitano Vincenzo Amato che ha lasciato l’Italia per trovare successo a New York, Joe Di Maggio stella del Baseball americano e chi più ne ha più ne metta? E se poi un Anthony Talamo Rossi, nato in Sicilia nel 1900 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1921, non dirà nulla di per sè, la sua fortunata Tropicana Orange Juice, da lui fondata in Florida nel 1947 con appena 50 impiegati ed oggi Numero Uno al mondo per la produzione di succhi d’arancia, potrebbe rappresentare un valido esempio della brillante creatività siciliana al servizio della dinamica economia americana.

Che sia merito di geni conquistatori ricevuti dai nostri padri greci e romani, dotti fenici o bizantini, e ancora arabi, passionali spagnoli o raffinati francesi, o semplicemente la voglia di rivalsa sulla antimeritocratica terra sicula a spingere i siciliani più intraprendenti alla partenza e che magari poi sia colpa del “cavuru” di casa o la frustrazione per un sistema lento ed oligarchico a mediocrizzare e smorzare gli entusiasmi a chi rimane, davvero non si sa, certo è che se oggi, lontani dalle guerre e dalla forte povertà conosciuta dai nostri avi, quella tendenza migratoria di una parte preziosa del popolo siciliano continua a crescere, impoverendo drammaticamente ciò che rimane della nostra Grande Vecchia Trinacria, questo è il sintomo di un malessere ancora fortemente irrisolto che dovrebbe spingere gli uni e gli altri ad una profonda riflessione.

1 comment:

Anonymous said...

Io aggiungerei anche Francis Ford Coppola alla tua lista (m fa sshì pazz), ha i genitori lucani.

Anche se non c'entra niente con gil States, Ástor Piazzolla (l'inventore del tango argentino moderno) aveva i genitori italiani, di Trani (Piazzolla un pugliese! Chi l'avrebbe mai detto?!).