
“Madame and monsieur… je vous prèsente le Cirque Calder!!!”
Una voce forte e matura. Un piccolo direttore di circo con pancia di sughero e gambette in fil di ferro domina il centro della pista; alle sue spalle un vecchio grammofono diffonde la melodia della marcia “Barnum and Bailey's Favorite” (1913) del grande compositore Karl L. King.
Che lo spettacolo abbia inizio!!!
Piccoli acrobati animati, clown e funamboli, trapezisti e domatori di animali, mangiatori di spade e lanciatori di coltelli si susseguono con i loro “incredibili” numeri sul palco di un Circo in miniatura, dove leoni ruggenti, cavalli del selvaggio west ed elefanti equilibristi fanno da cornice al “sensazionale” spettacolo.
I piccoli attori, pupazzetti o, meglio, sculturine di legno, gomma, carta, sughero, pelle e fil di ferro, camminano e danzano, saltano, fumano e parlano. La loro linfa vitale? Le mani sapienti e la voce di un grande regista e marionettista d’eccezione, l’artista Alexander Calder.
Non è un teatrino per i più piccini, si tratta piuttosto della performance “Le Grand Cinque Calder, 1927”, una delle opere più care allo stesso artista statunitense, immortalata nel 1955 dalla telecamera di Jean Painlevè, ed oggi una delle principali attrazioni della mostra “Alexander Calder: LES ANNÉES PARISIENNES,1926-1933” che sarà inaugurata al Centre Georges-Pompidou di Parigi il 18 marzo del 2009.

La mostra, realizzata grazie ad una collaborazione internazionale tra il Whitney Museum of American Art di New York e il Centre Georges-Pompdou di Parigi, ci regala uno dei momenti cruciali e al tempo stesso più affascinanti e reconditi della brillante carriera artistica di Alexander Calder: gli anni parigini (1926-1933) appunto, che videro la delineazione di quella che sarebbe diventata una delle figure più emblematiche dell’arte del XX sec.
Universalmente conosciuto per le sue sculture cinetiche, capolavori di ingegneria definiti “mobiles” da Duchamp (1931) e per le colossali sculture in metallo che colorano oggi alcune delle più importanti piazze del mondo (“stabiles” come li chiamò l’amico Jean Arp), Alexander “Sandy” Calder, che era figlio di due noti artisti statunitensi, aveva inizialmente deciso di intraprendere una carriera economicamente più stabile di quella dei genitori, laureandosi in ingegneria nel 1919. Ma la vocazione artistica era nei suoi geni, come dimostrano del resto alcuni giocattoli in legno che “Sandy” aveva creato all’età di appena 11 anni e fu proprio a Parigi, dove si trasferì nel 1926, che Calder maturò il suo eccezionale talento.

La mostra “Alexander Calder: LES ANNÉES PARISIENNES,1926-1933” ripropone passo dopo passo il percorso evolutivo di un genio che trovò nel gioco e nel movimento la sua più grande fonte di ispirazione. Troviamo qui le iIlustrazioni su carta che riproducono con intensità movimenti e atteggiamenti umani ed animali a partire da un unica e continua linea di inchiostro; ci sono poi le leggerissime sculture in fil di ferro, evoluzione tridimensionale delle prime illustrazioni, che ritraggono non solo celebrità dell’epoca (dalla star parigina degli anni ‘20 Josephine Baker all’attore Jimmy Durante e poi John D. Rockefeller, Helen Wills ed altri) ma anche alcuni tra gli amici più intimi dello stesso artista (il compositore Edgar Varesè, l’artista Joan Mirò e la modella Kiki de Montparnasse). Fulcro della mostra è indubbiamente l’opera “Le Grand Cinque Calder, 1927”, il Circo itinerante in miniatura, che Calder allestiva negli appartamenti privati e nei salotti parigini per guadagnare qualche soldo e grazie al quale l’artista sviluppò quel virtuosismo ingegneristico delle sue opere successive. L’esposizione si conclude infine con una ricchissima selezione di sculture: dalle prime creazioni cinetiche, animate da piccoli impeccabili meccanismi, passando per la serie delle “costellazioni” (sculture in legno e ferro che ricordano appunto le costellazioni), fino a quegli affascinanti “mobiles” che resero l’opera di Calder immortale.
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