
Ci sono artisti che giocano a tutti i costi al ruolo dell’enfant terribile, del genio ribelle dall’equilibrio psichico labile, che si atteggiano a divinità insaziabili di egocentrismo e che fanno della propria immagine, curata fino all’ultimo dettaglio, un biglietto da visita che spesso trascende lo stesso valore artistico.
Ce ne sono poi degli altri, oggi in netta minoranza, che neppure hanno mai creduto di appartenere allo status d’artista, che vivono, e a volte subiscono, l’arte come una necessità esistenziale piuttosto che come vera professione e rifiutano, senza indugio, quei giochi di potere di galleristi e collezionisti, critici e curatori che hanno trasformato l’arte in un business colossale.
Sono o non sono, questi ultimi, i veri anticonformisti in una società che spesso si limita a riproporre surrogati di Duchamp, Warhol, Oldenburg e Pollock del terzo millennio?
Tra gli artisti “per bene”, anticonformisti del XXI sec., brilla il nome di Cesare Inzerillo, scultore siciliano, scenografo di successo e collaboratore dei registi Ciprì e Maresco per oltre dieci anni, una macchia di umiltà e professionalità in un mondo che luccica di star e starlet da reality art shows.
Quella di Inzerillo è una vocazione anarchica e solitaria; non importa dove giri la corrente, suo fine è uno e uno soltanto: la sua soddisfazione personale. Una soddisfazione che Cesare raggiunge, quotidianamente, nel suo laboratorio a Cinisi (PA), tra le sculture di polistirolo, gesso e fil di ferro, toccandole, vestendole, curandole.

Una figura ordinata, longilinea, educata, quella di Inzerillo. Un perfetto finanziere, esattore delle tasse, un carabiniere. In un'altra vita forse. Sotto quei lineamenti sottili, dietro quegli occhiali squadrati, oggi vive invece l’anima di un genio creativo, di un uomo ossessionato dalla necessità di trasformare in materia le sue visioni, ma noncurante del giudizio che le stesse potrebbero suscitare. Rifiuto, curiosità, sdegno, paura, stupore, sorriso? Non importa. Certo è che le sue creazioni non possono lasciare indifferenti, come indifferenti non hanno lasciato il sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi, e l’Assessore alla Creatività, Oliviero Toscani, che le hanno volute mettere in mostra a Salemi, nelle sale del Castello Svevo-Normanno.
Mummie di cartapesta e cemento, polistirolo e gesso, fil di ferro e stracci, ognuna con una propria verità, con una storia da raccontare. “Biancaneve”, “Gemelli 6mesi”, “Duro da morire”, “Leonardo dal Palermo”, sono solo alcuni degli incredibili protagonisti di La Classe Morta di Inzerillo, una classe di persone, di uomini, indaffarati nello svolgimento quotidiano dei propri costumi, e poi di colpo congelati dalla morte. Una morte che, per l’immediatezza della sua venuta, ha immortalato i gesti e le espressioni di quei corpi, rendendoli immortali e rispolverando un’ironia che, forse, la velocità della vita non avrebbe potuto trasmettere.
Ciò che però rende davvero incomparabile l’opera di Inzerillo è l’atmosfera che l’artista-scenografo ha voluto creare: un percorso spettrale ma fortemente suggestivo, attraverso le sale e le torri del Castello di Salemi. Un viaggio che lascia spazio, e tempo, alla riflessione, a un vero dialogo con le opere stesse.
Dopo il successo di Salemi, “La classe morta” di Cesare Inzerillo ora vola a Spoleto in occasione del Festival dei Due Mondi. Inzerillo prende dunque il volo, speriamo solo non trascini con se anche la sua anima.
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