
New York, 11 maggio 2009, h 9:30
Sorridente e raggiante, in sella alla sua “due ruote a pedali” color giallo canarino, Vincenzo Amato, attore palermitano di successo internazionale, arriva puntuale nel suo studio di Norfolk Street, nel cuore del Lower East Side (LES) di Manhattan, dove, non appena libero dagli impegni cinematografici, si rifugia per coltivare la sua più grande passione, quella per la scultura.
Sì, perché, ancor prima di essere attore, Vincenzo Amato è soprattutto un appassionato artista. I suoi lavori sono stati esposti a New York, a Los Angeles, a Rio de Janeiro, al Cairo, a Roma, a Milano e a Palermo e, nel mese di novembre 2008, la Earl McGrath Gallery di New York ha ospitato la sua ultima personale.
Lavora con il ferro da quando ha 18 anni, Vincenzo, e, sebbene New York abbia rappresentato la chiave del successo sul grande schermo, grazie all’amicizia con il regista Emanuele Crialese, in realtà qui si trasferì, nel 1993, per lavorare come assistente del fabbro Norman Campbell. Da allora, non ha mai abbandonato quella che lui stesso ha sempre considerato la sua vera forma d’espressione e, non appena può, corre nel suo paradiso del LES.
Un grande atrio, realizzato con il più tipico dei brick wall newyorchesi, conduce ad una porticina di metallo sulla quale, a piccoli caratteri, si legge: Vincenzo Amato Studio. La porta si apre scricchiolando e un luogo incredibilmente affascinante sembra raccontare più di quanto non possano fare infinite parole.

Appena quattro gradini separano da quello che appare come uno scrigno prezioso, fatto di oggettini e attrezzi di lavoro, libri ed ellepi d’autore, vecchie fotografie, disegni e vasetti di vernice. L’edificio, che ospita il lavoro di Vincenzo da più di 15 anni, alla fine degli anni ‘60 era una vecchia scuola elementare, poi rimasta abbandonata per oltre 20 anni; lo studio sorge proprio nei vecchi bagni femminili di quella scuola. Si vedono ancora le basi dei piccoli sanitari e i lavandini formato Lilliput e le pareti sono interamente rivestite di mattonelle color giallo ocra. Sembra quasi di sentire in lontananza le voci allegre e squillanti delle bambine nell’ora della ricreazione, ma non solo. L’intero ambiente è ancora vivo e brulicante d’energia, di oggi come di ieri.
Alle pareti, alcuni personaggi dell“L’Iliade moderna”, un teatrino di marionette di ferro, tra i primi lavori di Vincenzo e da lui stesso inscenato, sembrano urlare e duellare animatamente; qua e là, sensuali, le piccole ma imponenti sculture in ferro laccato, nelle cui forme e colori brillanti riprendono vita l’opera di Jean Arp e alcuni degli Stabiles di Calder, appaiono tutt’altro che inanimate; gli attrezzi rurali, disseminati per tutta la stanza, richiamano le ricerche concettuali di Martin Puryear e i soggetti dei bassorilievi, in legno compensato, sembrano seguire con lo sguardo ogni minimo movimento.

Artista contemporaneo ma in un certo senso anacronistico, Vincenzo Amato è estraneo a quella prostituzione dell’arte contemporanea che inibisce la libertà d’espressione, è libero dalle ansie iperproduttive che rendono schiavi tanti colleghi e sconosce pure quella ricerca dell’eccesso ad ogni costo che affolla le gallerie più sperimentali. Il dialogo tra vita e abbandono attraversa invece ogni istante della sua creazione e, Vincenzo, sente l’urgenza di riportare in vita tutto ciò che di abbandonato e decadente trovi per strada. La sua produzione artistica è feconda quanto più lo sono i suoi ritrovamenti. “Fino ad alcuni anni fa lavoravo esclusivamente il ferro, per le strade di NY si trovavano lamiere di qualsiasi dimensione e forma” racconta l’artista “Adesso il ferro è diventato troppo caro. Per strada non se ne trova più e il legno compensato ha preso il suo posto.” E continua “A volte, mentre passeggio per New York, mi capita di sentire un forte richiamo. Mi giro e riconosco quella che sarà la mia prossima opera. A me non resta che raccoglierla e ospitarla nel mio studio. Quello che succede dopo non saprei spiegarlo.”

Vincenzo Amato nasce a Palermo nel 1966. A 18 anni parte per Roma in vespa e, nel 1993, con tanti sogni e una vecchia valigia del padre, alla scoperta del “Nuovomondo”. A New York incontra il regista Emanuele Crialese, suo vicino di casa, e, insieme a lui, ha inizio quell’avventura cinematografica che lo porterà al grande successo internazionale. Tra le interpretazioni più brillanti, lo ricordiamo nei panni di Pietro, protagonista del film “Respiro” (2002) di Emanuele Crialese. Nel 2006 ci ha affascinato nella parte di Salvatore Mancuso in “Nuovomondo” (Leone d’Argento Rivelazione, 2006) dello stesso Crialese e lo scorso ottobre 2008 ha catturato il pubblico del piccolo schermo, interpretando egregiamente Albert Einstein nel Movie TV di Liliana Cavani “Einstein”.
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